giovedì 19 maggio 2016

Baldanza! (Da Orte a Bomarzo)

l'armata brancaleone

31 Marzo 2016

Pulzelle et omeni, dimenticar lo fallimento de lo dì passato est lo primero obiettivo de la sesta tappa. Avante, allora, dentro e fuori da le nebbie de la val de lo Tevere. Su per Bassano in Teverina, Chia e la sua impassibile torre e poi giù, ne le forre e ne li antichi millenni! Vegnite a lo cospetto de misteriose piramidi et vetuste civiltade. Oh, che dì di letizia, mai tanta maraviglia vidi durante codesto cammino e condividerla con voi, perchè per me solo issa è troppa, ora vorrei. 

Itinerario: Orte - Bassano in Teverina - Chia - Bomarzo




Link per il percorso a piedi: Orte - Bassano in Teverina, Bassano in Teverina - Chia, Chia - Bomarzo


Orte rimarrà per me un mistero. Scendo dalle scale della locanda per esplorare il borgo e lo trovo avvolto da uno spesso mantello di nebbia, se possibile anche più fitta di quella affrontata qualche giorno prima sul monte Cimino. Sono un'ombra vagante, silenziosa nei vicoli del borgo dormiente, solo i miei passi e il toccheggio del castagno sul peperino rompono l'altrimenti assoluto silenzio. È molto presto, tanto che potrei indugiare un po' in attesa che Apollo salga sul suo cocchio e scacci le tenebre, ma così facendo rischierei di mancare anche la tappa di oggi, quando ciò di cui ho bisogno per scrollarmi di dosso la sensazione di sconfitta, non ancora del tutto allontanata dalla notte, è proprio completare l'itinerario di oggi con successo. Si tratta pur sempre di una fatica da più di trenta chilometri, con diverse salite sul percorso.
Tutto è tinto di vapore grigio, la Valle del Tevere, i borghi e le colline lontane si nascondono nella fresca e umida aria del mattino. Con un tempo del genere si annebbia anche la mente, per liberarla e guardare lontano mi concentro sullo spettacolo vicino.  Il percorso da Orte a Bassano in Teverina è piuttosto breve, ma pieno di fascino racchiuso nel lento scorrere della vita contadina e in edifici di epoche distanti tra loro: ruderi di torri medievali, case ferroviarie e opere murarie. Oltre a questo mi dedico al mio bastone da passeggio, che ad ogni leggero passaggio della lama sulla corteccia rivela nuovi colori, forme e striature. Un micromondo da scoprire con pazienza e delicatezza.
L'altro mondo inizia a rivelarsi solo alle nove e mezza, quando il vento e il sole sollevano lentamente i banchi nebulosi adagiati sui tetti, le rocche e i campanili come dei leggerissimi veli bianchi, e mostrano i tesori nascosti della Tuscia. Uno ad uno, in altezza decrescente, compaiono i borghi arroccati su speroni di tufo che si ergono come bassi torrioni nella pianura solcata dal Tevere. In questi  giorni di marcia, ogni volta che scorgo il borgo dove farò sosta, mi sento come un marinaio all'avvistamento della terraferma e dentro di me esclamo vittorioso: "Terra in vista!". Ed eccola lassù, la prima terra di oggi: Bassano in Teverina, ben visibile sulla rocca alla mia sinistra.
La salita verso Bassano è posticipata da una deviazione verso il lago Vadimone (il link porta a un esaustivo articolo sul lago). Qui si è combattuta la più grande battaglia tra romani ed etruschi, che consacrò l'egemonia di Roma sull'Etruria. Oggi il lago, localmente noto come "Laghetto", è ridotto ad uno stagno ben celato da alti canneti e navigato da banchi di vegetazione lacustre, che Seneca e Plinio il Vecchio avevano denominato "isole galleggianti". Bisogna lavorare di fantasia per immaginare lo scontro avvenuto ben 2.325 anni prima, ma immerso nella pace che regna qui oggi non è facile pensare alla guerra.



trekking tuscia
Pensieri difficili


"Stammi bene, laghetto, io salgo verso Bassano, da lassù potrò ammirarti dall'alto ancora una volta.", gli direi, se non fosse una follia parlare con uno specchio, quandanche d'acqua.
Salire al borgo a piedi offre un panorama difficile da ammirare in altri modi. Attraverso la nebbia diradata, dal colle dove sorge il paesino che sto raggiungendo, mi appare uno spettacolo ricco di  campagne, boschi, colline, borghi medievali, montagne e nuvole che si estende dalla valle del Tevere fino all'Apennino innevato. Vedo finalmente anche Orte, abbarbicata sulla sua rupe imprendibile. Un passo in salita può corrispondere a chilometri di orizzonte in più, è questo che spinge uno scarpone davanti all'altro, che allevia la fatica e alleggerisce il peso: il desiderio di vedere di più, più lontano, di sentirsi un po' più grandi e meno smarriti in questo mondo.

valle del tevere
Ricchi orizzonti

In sei giorni sono entrato e uscito da sette borghi medievali, spesso attraverso le antiche entrate alle città, squarci nel continuum spazio temporale in cui viviamo, riservati ormai solo ai moderni viandanti. Bassano in Teverina, dominata dalla rinascimentale torre dell'orologio,  mi accoglie con un profondo silenzio. Le stradicciole sono deserte, non c'è traccia di negozi o locali, l'unico ristorante esistente sembra essere l'Osteria Belvedere, sull'omonima via che offre una gratificante panoramica sul borgo e la vallata che domina. Esplorati i vicoli e le piazzette ben conservate dell'antico borgo è il momento di dirigersi verso una Bassano più moderna, dove sostare per un po' di ristoro prima del secondo tratto di oggi: da Bassano in Teverina a Chia, una tranquilla scampagnata tra uliveti e noccioleti fino al vecchio borgo di Chia (noto che sono a quota otto borghi in cinque giorni, un dato importante che indica quanto siano parte essenziale di questo viaggio alla scoperta della Tuscia).


trekking tuscia
L'ottavo borgo

Il macellaio del paese sfoggia una porchetta a cui è impossibile resistere. Sono in anticipo sulla tabella di marcia e posso concedermi un tranquillo pasto prima del percorso che terminerà a Bomarzo. Il paese è visibile sul lato opposto della valle, al di là della forra, raggiungibile in pochi minuti seguendo la strada moderna, ma il mio programma è ben diverso: quindici stupendi chilometri a piedi su e giù dalla forra scavata dal torrente Castello, tra mistici ruderi di civiltà perdute, torri pasoliniane e set cinematografici.
La torre di Chia è il prossimo obiettivo, la raggiungo camminando su una stradina bianca che costeggia la rupe a strapiombo sulla valle. Sarà l'ultimo orizzonte che vedrò prima di risalire dalla forra che si apre sotto i miei piedi. E a proposito di piedi mi voglio appuntare per i posteri un esempio di arte d'arrangiarsi, capita infatti che il foro dello scarpone sinistro si sia allargato tanto da lasciare entrare pietre dentro la suola ed impossibilitare il cammino. Viene in mio soccorso un'altra lezione islandese: portare sempre con sé un rotolo di nastro americano, utile per moltissimi scopi, questa volta per rappezzare il calzare distrutto da centinaia di chilometri di cammino. Terminato l'intervento di emergenza volgo un ultimo sguardo a Mugnano, l'Umbria e i calanchi lontani, prima di voltare le spalle e camminare sotto il sole, finché dopo qualche tornante la solitaria torre di Chia spunta attraverso noccioli, ulivi e alberi in fiore.



trekking tuscia
Ave, Torre!

Un luogo cinematograficamente importante: oltre ad essere la scenografia  della prima apparizione dell'eroe che ispirò questo cammino, fu dimora di Pierpaolo Pasolini, che acquistò la torre e il castello nel 1970 dopo essersene innamorato nel 1964, mentre girava "Il Vangelo secondo Matteo". Sotto la torre, oggi affidata al gruppo archeologico Roccaltìa, scorre il torrente Castello, artefice della forra che separa Chia da Bomarzo. Abbandonato il set di Brancaleone mi sposto su quello della scena del battesimo di Gesù vista nel film di Pasolini.



torre di chia
Il Giordano in Tuscia

Questo piccolo paradiso nascosto, che cresce su tavole di pietra e pareti di tufo modellate dall'instancabile scalpello dell'acqua, non è che l'inizio di uno splendido viaggio in una storia millenaria, scritta in queste rocce dalla preistoria agli anni '60. Vi si accede attraversando una galleria scolpita da un altro scalpello: quello dell'uomo, che oltre al traforo che sfrutta la morfologia della forra ha lasciato altre testimonianze.



chia
La porta del tempo

Al di là del passaggio si trovano infatti due mulini e le loro macine, utilizzati fino a dopo il secondo dopoguerra ed ora quasi assorbiti dalla vegetazione.



forra tuscia
Macinando tempo e spazio

Questo magico luogo funziona come una bizzarra macchina del tempo, poco dopo i mulini dello scorso secolo riaffiora  il basolato, che mi porta indietro di duemila anni  e di nuovo in superficie. A metà del cammino di oggi esco quindi a riveder le stelle e la torre di Chia, vigile sulla rigogliosa vallata colma di meraviglie che mi accingo a scoprire. Sballottato nel tempo e nello spazio non mi accorgo dei chilometri che sto macinando, saranno già una ventina eppure nessun muscolo, tendine o legamento mi chiede di fermarmi, anzi, sono tutti tesi a portarmi verso nuovi spettacoli fino a destinazione.
Gli scarponi rappezzati dal nastro adesivo calpestano sentieri sgangherati all'ombra di alberi che si stanno destando dal letargo invernale, fino a raggiungere un tratto più battuto e curato. Da qui potrei raggiungere velocemente Bomarzo, ma questo straordinario viaggio nel tempo ancora non va in quella direzione. Poco prima di fare un salto indietro di oltre duemila anni, incontro una testimonianza vivente di un tempo non troppo lontano. Un anziano seduto su una panchina, appoggiato al suo bastone e a chissà quali pensieri. Voglio scoprire se ha qualcosa da raccontare.
"Vado giusto per Bomarzo?", gli chiedo per rompere il ghiaccio, pur sapendo la risposta.
"Sì, sì, sta qua, fai 'na stradina e ce arivi", mi risponde con un marcato accento romanesco.
"Da 'ndo vieni te?", mi chiede.
"Da Orte, poi Bassano, Chia, e adesso verso Bomarzo", rispondo disegnando nell'aria la passeggiata.
"Ah da qua sotto vieni, e io l'ho fatta tante vorte 'sta stradina. C'annavo a pijà 'a farina ar molino. Ce mannavano a noi regazzini, in tempo de guera. Ce davano un sacchetto alla vorta, così per pijarne de più, quando c'era tanta gente che ce se confonneva, 'a pijavano, 'a nasconnevano ner bosco e tornevamo a pijiarne artri sacchi, artrimenti nun se magnava abbastanza. Ma 'sti molini ce stanno ancora?"
"Ci sono, ma è tutto scassato, c'è rimasto poco."
"Ah sì, eh, e me 'o dice anche mi fijo, che 'ste zone se 'e girate tutte a piedi, che qua sta tutto sfasciato, tutto abbandonato. Adesso ce sta 'n sacco de gente che viene a vedè 'sta piramide... ce sei stato già?"
"Ci vado adesso"
"Ecco, bravo, sta qua dietro, te scendi de qua, 'ndo ce sta 'a lapide der cavallo e poi tutta giù e ce arivi. 'Na vorta mi fijo m'ha chiesto: Papà, te 'a conosci 'a piramide? E io nun sapevo de che parlasse. J'ho detto che sì, ce sta un sasso co' de'e scale, ma piramidi no, che pensavo a quelle egiziane. Poi 'na vorta m'ha portato giù pe 'na via lunghissima a vedè sta piramide e quando semo arrivati j'ho detto: "Ma è proprio 'sto sasso co 'du scalini? Se me 'o dicevi prima te ce portavo in cinque minuti!".
Io ascolto questa affascinante testimonianza autentica in silenzio, annuendo di tanto in tanto con la testa.
"Ché 'a gente nun ce sa arivà a 'sta piramide. Nun sta manco indicata, ogni tanto me chiedevano 'ndo sta 'sta piramide e io nun capivo. Io pensavo a quelle a triangolo, e mica 'o capivo che parlavano de quella qua sotto e nun j'o sapevo dì 'ndo stava. Finchè mi fijo me c'ha portato e ho capito de che parlaveno.  Noi ce annavamo da quando eravamo regazzini, solo che 'na vorta nun la chiamavamo piramide."
Al mio ritorno dal viaggio, documentandomi sulla piramide, scopro che quel simpatico signore, che si chiama Abbondio, è il padre di chi questa piramide l'ha riscoperta e riportata alla luce: Salvatore Fosci, che da anni si occupa della cura della piramide e dei sentieri qui attorno e a cui va il mio sincero ringraziamento per aver dato a me e altri viandanti la possibilità di ammirare questi luoghi altrimenti perduti.
Giù dunque, oltre la lapide del cavallo Musetto e indietro di altri migliaia di anni, forse addirittura fino all'età del bronzo.


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Di certo non un malocaballo

Prima di raggiungere la piramide, si possono osservare le entrate delle case rupestri che si affacciano sull'enorme masso di peperino da cui millenni fa è stato ricavato ciò che si ritiene essere un altare sacrificale.
Salgo i trentacinque gradini intagliati nel megalito fino all'ara principale, chiudo gli occhi e ascolto il vento che attraverso i pertugi della roccia porta nell'aria le voci di chi, millenni prima, ha posato lo sguardo sullo stesso orizzonte in cui ora si perde il mio.



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Er sasso co' trentacinque scalini

La piramide è come un portale per l'ennesimo salto temporale, destinazione la necropoli di Santa Cecilia, raggiunta seguendo uno stretto sentiero sorvegliato da silenziose sentinelle di peperino. Mi scrutano con i loro occhi granitici mentre raggiungo un vero museo a cielo aperto, tinto dei colori predominanti di questo viaggio: grigio peperino e verde muschio. Perlustro questo sacro luogo in punta di piedi, sfiorando le pietre sbozzate dall'uomo e rifinite dalle intemperie, immaginando i riti che si svolgevano qui sin dall'alba della civiltà. Questa perfetta simbiosi tra uomo e natura trasmette armonia e scaccia gli opprimenti pensieri che spesso ci induce il mondo attuale, in cui questo equilibrio è ormai perduto.



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Equilibri perduti

Lungi dall'essere concluso, l'itinerario prosegue per boschi e più moderni noccioleti e noceti sorvolati da aironi cinerini che pescano nel ruscello al mio fianco. Alla fine di questo tranquillo vagare nelle campagne, è il momento di affrontare l'ultima salita, dopo un fugace sguardo alla possente torre di Mugnano, e raggiungere la zona moderna di Bomarzo calpestando un tratto di antico basolato etrusco. Vedo il monte Cimino, testimone del secondo e terzo giorno del Brancammino, simbolo di un cerchio che si sta chiudendo.
Al termine della camminata di trentamila metri nello spazio e tremila anni nella storia, la rupe di Bomarzo è conquistata e da qui posso ammirare un grandioso tramonto sulla vallata sottostante, ma la mia avventura odierna non è ancora conclusa. Resta ancora da trovare un'osteria, dopo un paio di giorni non del tutto soddisfacenti spero davvero di scoprire qualcosa di eccellente. Anche qui scarseggiano però i tanto sognati ristoranti dentro le mura, anzi la proprietaria della locanda mi dice che non ne esistono proprio, le uniche possibilità per mangiare sono una pizzeria e il ristorante Piccolo Mondo, a circa tre chilometri da qui. 
Cammino nella notte solitaria finchè non vedo delle luci pacchiane in lontananza, quelle del ristorante Piccolo Mondo. Lo trovo quasi vuoto, tranne che per una coppietta seduta nella sala adiacente a quella dove prendo posto. Sono intenzionato a recuperare le mangiate perdute con una cena di quattro portate: inizio con un ricco e succulento tagliere di affettati e formaggi locali, seguito da dei deliziosi lombrichelli "al sugo finto". Si prosegue con abbacchio alla cacciatora accompagnato da verdure grigliate, tanto buono da lenire ogni fatica della giornata. Concludo con amari e biscotti fatti in casa e ritorno nella notte.
Anche oggi, come due giorni prima a Nepi, vado a letto inseguito dal suono di misteriosi tamburi che, più che nello spazio, sembrano essere lontani nel tempo. Un atavico, incessante ritmo che rimbomba da secoli e che di tanto in tanto possiamo ancora sentire, in quei rari e preziosi momenti in cui riusciamo a dimenticare dove e quando siamo.

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